Lì in quel lembo di terra che è Casalbore, crocevia tra l’Irpinia e il
Sannio, oggi vi racconto la storia di Antonio
Corso e la sua Azienda agricola, il suo attivismo convinto contro la
produzione di massa nel mezzo di: vigneti, ulivi, “pecore dalla coda larga” e
mucche di un bianco candido. Sarò onesto: non mi era mai capitato di
soffermarmi a guardare questo paesaggio. Ed ora sembro un paparazzo della Natura
e delle sue mille sfumature. Sarà capitato anche a voi. Magari dopo anni
vissuti tra nebbia, la tristezza dei palazzoni moderni, emblema della vita in
città. Qui invece tutto è racchiuso in una fotografia fino a raggiungere
l’entrata dell’Azienda agricola Corso.
Ad accogliermi c’è Lara: una
bimba di nove anni figlia di Antonio ed Enza proprietari della fattoria. Una
sveglia e instancabile guida, mi narra con fare maturo la sua vita in quelle
terre, del loro prodotto di punta: il
pecorino lauticauda; e ancora del capicollo, delle galline e orgogliosa
indica ognuna di loro sbracciandosi dalla rete. Con l’arrivo di Antonio è
fulminea simpatia, affabile e concreto, non perde tempo aprendo i recinti dove
fa crescere le pecore dalla “coda larga”
e le mucche possenti della razza
marchigiana.
Non mi stupisce parlando con
Antonio quanto detto dalla figliola, il suo portare avanti la tradizione del
nonno, fondatore dell’azienda nel 1940; racconta che da ragazzino andava con
lui a vendere le uova e i prodotti nei mercati del paese, degli insegnamenti
del nonno sul non vergognarsi mai del suo lavoro, anche se a quindici anni non
era visto di buon occhio passare in giro per il paese con il trattore. Forse è
proprio questa la ragione di un mancato ricambio
generazionale in questo settore. Non credete?
L’azienda agricola Corso si
sviluppa in un’aerea di circa sessanta ettari di terreno. Attualmente si occupa
sia dell’attività agricola che della
zootecnica. Il suo principio cardine
è quello di attuare un ciclo di
produzione chiuso, che va dalla coltivazione dei foraggi per i propri
animali, alla lavorazione dei prodotti ricavati dall’allevamento. Antonio Corso
è deciso quando spiega che utilizza prodotti
naturali per la coltivazione della terra, come il letame, la poltiglia
bordolese per le viti, la rotazione dei terreni: alternando la produzione di
fieno al grano, all’avena, all’orzo e ai legumi; certezze per ottenere prodotti
di qualità.
Subito dopo la scena è tutta loro: 25 vacche di razza marchigiana e 250 pecore lauticaude, due selezioni di qualità. Le prime, dette anche vitelloni dell’Appenino centrale, un tipo di carne IGP data la conformità robusta originariamente venivano utilizzate come trattori, ora il vantaggio di essere alimentate in maniera tradizionale garantisce carne magra con bassi livelli di colesterolo e un sapere gustoso.
Tutte informazioni che Antonio
Corso mi fornisce con pazienza e passione: la pecora lauticauda è una razza tipica del beneventano e
avellinese, dalla coda leggermente larga, filiforme, che stava per estinguersi,
ma solo grazie alla ricerca dell’identità di alcuni imprenditori agricoli e
dell’Ispettorato agricolo
locale si è riusciti a non farla scomparire. Il loro latte è l’ingrediente
principe del prodotto di punta dell’azienda: il pecorino. Ha un processo di stagionatura di sei mesi, più
invecchia e più il prodotto sa di buono. Lo garantisco personalmente, il sapore
è leggermente granuloso, delicato. Si riconosce immediatamente per la sua forma
cilindrica e dalla crosta marrone chiaro.
Con la rapida espansione dei
consumi di massa, spesso avvantaggiate da un prezzo ineguagliabile si è persa
l’identità, il vantaggio di poter gustare dei cibi sani, di poterli toccare e
di assistere alle diverse fasi di produzione. Sono proprio queste le caratteristiche
che contraddistinguono il poter visitare questa fattoria. “La coltivazione e la vendita locale a chilometro zero dei prodotti ha
dei bassi impatti sia per il terreno, che sull’incidenza nell’immissione di CO2
nell’atmosfera che attraverso il trasporto del prodotto perde quella garantita
freschezza. Siamo abituati a trovare negli scaffali dei supermercati ogni
specie di frutta e verdura in qualunque mese dell’anno” dice Antonio.
Attualmente oltre a vendere nel suo punto vendita si reca nei “farmer markets” mercati dei contadini dove possiamo trovare prodotti freschi di agricoltori e allevatori, venduti direttamente al consumatore finale. Ne sono un esempio quelli organizzati nella splendida cornice della “torre normanna” di Casalbore.
Bisognerebbe incentivare il proliferare di queste attività; allora vi
chiedo perché non ricreare una cultura all’acquisto di prodotti autoctoni?
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